Il cantautore irlandese Glen Hansard arriva in Italia, stasera mercoledì 14 ottobre 2015, in tour per presentare il nuovo album solista Didn’t He Ramble.

“Don’t give up!” urla Glen Hasard, mentre salta come un matto, scuotendosi di dosso l’acqua che si è appena rovesciato in testa. In questo momento sembra un invasato, ma sono sangue, note, passione e grinta che stanno esplodendo dal palco dell’Alcatraz e piovono su ogni singola persona tra il pubblico. Sono le note finali della bellissima This Gift, quasi a fine serata.

Ogni concerto di Glen Hansard possiede sempre un potere catartico: guidati dall’energia del cantautore irlandese e dai 9 ottimi musicisti che lo accompagnano, viviamo tutte le emozioni possibili, amplificate nelle loro sfaccettature dai mille colori della musica. Lo spettacolo inizia puntuale alle 21 dopo un breve set dei Lost Brothers, duo irlandese che ricorda gli Everly Brothers in versione moderna.

La scaletta scorre tra tutta la discografia di Hansard solista, dai brani del nuovo album Didn’t He Ramble (stupendo l’intimo inno iniziale Grace Beneath The Pines) passando dalla toccante soundtrack di Once (immancabile When Your Mind’s Made Up) e un saluto ai Frames. I momenti in cui è solo sul palco (Leave e Bad Broke) sono carichi di pathos come quelli in cui è sostenuto dalle sonorità di tutta la band, archi e fiati compresi (Lowly Deserter, Way Back In The Way Back When).

Lui non risparmia un grammo del suo proverbiale carisma, coinvolge spesso il pubblico che canta con lui i ritornelli più famosi, creando un’atmosfera di calore e familiarità, come il momento “quasi gospel” di Her Mercy. Al pianoforte ci emoziona con una commovente esibizione di McCormack’s Wall, accompagnato dalla viola di Jeanie Lim, che ci regala una coda in perfetto stile irlandese.

L’apice arriva però nell’ultima parte, quando Glen scende tra il pubblico e dal fondo della sala canta senza microfono Say It To Me Now e Gold. Dopo aver duettato con una ragazza del pubblico in Falling Slowly, invita i Lost Brothers sul palco per il gran finale. E dopo averci mostrato gioie e cicatrici incise sul suo cuore per oltre due ore e mezza, a colpi di soul, blues e folk, arriva la liberatoria The Auld Triangle, cantata a turno da tutti i musicisti (e tecnici), che fa sentire un po’ irlandesi anche noi del pubblico. Grazie sciamano dalla chitarra bucata, per averci accompagnato ancora una volta in questo viaggio magico tra le note.

(16/10/2015) – ©2015 OnDetour – Tutti i diritti riservati

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