Ritorna su OnDetour Pierpaolo Capovilla, per raccontarci il suo debutto solista Obtorto Collo (2014, La tempesta Dischi).
In diverse interviste hai definito”Obtorto Collo” come un album di un’autobiografia collettiva. Da cosa è scaturita questa scelta rispetto a fare un album completamente autobiografico?
PP: Io sono convinto che la mia vita conti ben poco senza quella degli altri, che esistono e vivono intorno a me, vicini o lontani che siano.
Qualsiasi evento o circostanza della mia vita, l’ho vissuto insieme agli altri. Per questo penso che narrare il proprio “io” possa e debba significare narrare le persone con le quali questo “io” si relaziona, si confronta, interloquisce, ama, odia, stima o detesta.
Nelle undici tracce sono presenti canzoni con tematiche molto dure e difficili, come ad esempio Quando, in cui il tema centrale è la violenza domestica, o Irene, che invece tratta il tema delle discriminazioni razziali. Come riesci ad immedesimarti nei personaggi di cui racconti le storie?
PP: Provo una terribile empatia nei confronti di coloro che subiscono ingiustizie e prevaricazioni. Forse perché ne ho vissute tante anch’io, nell’infanzia, nella fanciullezza, e poi l’adolescenza e la maturità; a scuola e in famiglia, nel lavoro, nei rapporti più stretti ed intimi, come in quelli più formalmente politici, perché collettivi. Ma ciò che più mi sta a cuore è la società, la comunità in cui vivo o sopravvivo. Come tutti. Credo anche che la canzone popolare debba tornare a farsi interprete delle contraddizioni storiche in cui versano le nostre esistenze. Tu hai citato “Quando” e “Irene”, ma che dire di “Ottantadue Ore”. Come abbiamo potuto restare indifferenti di fronte a ciò che è accaduto a Mastrogiovanni. E osserva ora la sostanziale indifferenza per il povero Cucchi. Questi fatti di cronaca nera sono paradigmatici di ciò che siamo diventati, del nostro disinteresse e dell’individualismo che impera nel sentire comune. Poi, lasciamelo dire, permangono in me i valori cristianissimi della pietas e della fratellanza, come per ogni buon comunista che si rispetti.
Parliamo adesso dell’aspetto live. Hai calcato ormai molti palchi, a partire con One Dimensional Man e poi con Il Teatro degli Orrori, qual è la cosa che riesce ad emozionarti sempre allo stesso modo?
Il pubblico! O meglio, l’evenemenzialità relazionale che intercorre fra l’artista e l’audience. È fondamentale.
Al Viper Theatre ti sei già esibito diverse volte. Hai un ricordo particolare legato a quel palco e cosa ti aspetti dal live del 7 novembre?
Al Viper ho suonato con One Dimensional Man e con Il Teatro degli Orrori diverse volte. Mi ha sempre portato fortuna! Ma il live di Obtorto Collo sarà qualcosa di molto diverso: ho chiesto alla band di cercare in tutti i modi di far “nascere” le canzoni sul palco, di fregarsene del lungo lavoro di prova, e di lasciare emergere quanta più improvvisazione possibile. Ci stiamo riuscendo. Del resto, con dei musicisti così, è l’approccio ideale: veniamo tutti da territori musicali molto diversi, dal jazz all’avanguardia, dal blues al rock, fino all’afro-beat. Il concerto, per noi, è un’occasione di dialogo fra modi di concepire la musica e la sua performazione molto diversi ed eterogenei.
Servizio di Elisa Bertolucci
Foto di Matteo Cavalleri
(07/11/2014) – ©2014 OnDetour – Tutti i diritti riservati
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